Faccio con quello che c’è: il frigo mezzo pieno

La migliore ricetta per guarire
Mi piace cucinare, tanto, e lo faccio anche per professione, nella scuola internazionale di arte del nutrimento che ho da più di venti anni.

Imparare a guarire è come entrare in cucina con una fame, ma senza sapere cosa cucinerai. E’ come aprire il frigo e sorprenderti delle infinite opportunità offerte da ciò che è disponibile, che è lì, pronto ad essere buttato in pentola, a mischiarsi allegramente con altri cibi e divenire un piccolo capolavoro di amore, cura e nutrimento. Guarire è farlo divertendosi. E più si è arditi, capaci di osare, più è facile scoprire combinazioni nuove, nuove incredibili sostanze, capaci di nutrirci e di soddisfare la nostra fame.

 

Oddio! Il frigo vuoto!
La maggior parte di noi entra in cucina avendo in testa un’idea ben precisa. A volte l’idea viene dall’abitudine, a volte da un condizionamento. Poi apre il frigo ed inizia a lamentarsi per quello che non c’è e che poteva esserci ……lamentarsi per quello che non c’è, capite!

E più l’attenzione va su ciò che manca, più l’idea precisa del piatto che si sarebbe voluto cucinare diviene un’ossessione, una sofferenza.
Così ci torturiamo, con una sequenza infinita di se: “se solo fosse andata diversamente”, “se ci fosse questo allora io”….
Ma più di tutto restiamo digiuni, affamati, arrabbiati.

 

Un gioco divertente
Uno dei giochi che spesso faccio nei miei corsi è dare alle persone qualche ingrediente di quelli che compongono una ricetta, in modo che ognuno ne abbia alcuni, assegnati a caso, magari con un sorteggio e poi osservo come le persone gestiscono il loro “gruzzolo”. Vi assicuro che non sono i cuochi più esperti a produrre le soluzioni migliori, ma le persone più fantasiose, soprattutto quelle più positive, che non giudicano quello che la sorte ha loro assegnato, non fanno il confronto con ciò che gli altri hanno avuto, ma immediatamente pensano a come usarlo per ottenere il miglior risultato. Fantasia, accoglienza, spirito positivo, gioco…sono anch’essi ingredienti, e mancano solo se noi lo decidiamo…

Inoltre il gioco non vieta di fare alleanze, ma questo non è dato per scontato, quindi normalmente serve qualcuno che chieda espressamente: “possiamo metterci insieme?”. Quel qualcuno conquista uno spazio nuovo ed ampio che si chiama “richiesta di aiuto” e “collaborazione” ed è il “prezzemolo” della guarigione spirituale.

 

L’esperienza della mancanza: zest for life
La consapevolezza di qualcosa che manca, è anch’essa un’esperienza positiva, cioè ricca di contenuto e di insegnamenti, e non si limita alla percezione del dolore e della frustrazione. Anzi, spesso essa è la molla che ci porta a cercare. E per sua natura, è anche un’esperienza formativa, perché dentro di noi è come l’impronta di qualcosa che è assente, e quella forma è essenziale, parla di noi, ci ha reso ciò che siamo, poiché intorno ad essa ci siamo modellati. Quindi usandola come qualcosa che c’è, andiamo oltre la mera percezione della mancanza.

Nella cucina questo ha un nome e gli americani hanno una parola carina per definirlo: zest, che vuol dire come un profumo, l’ombra di un sapore, una suggestione, ma anche entusiasmo ed interesse. Zest for life vuole dire gioia di vivere…..

 

La guarigione spirituale è imparare a nutrirsi
Il percorso di guarigione spirituale inizia certamente dalla chiara percezione del frigo mezzo vuoto. Quello che mi piace fare è aiutare le persone a comprendere che i talenti di chi cucina sono la chiave di volta del percorso di guarigione verso la capacità di nutrirsi e vanno riconosciuti e utilizzati, perché proprio essi fanno la differenza. Sono lì, disponibili, spesso non riconosciuti perché confusi con il contenuto del frigo.

Non tutte le tue opportunità sono manifeste nella materia.

Io lavoro con ciò che c’è che è disponibile, che va solo richiamato. Io lavoro con ciò che, se riconosciuto, può generare abbondanza.

Io, in fondo, insegno sempre a cucinare…

 

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