Camminare è un’arte animale profonda e arcana. Camminare è una scommessa, è quel continuo riprendere l’assetto, vincere il disequilibrio, usarlo per procedere. E’ saper trasformare l’instabilità in occasione di conquista dello spazio, di esplorazione del nuovo. Richiede tutta la nostra attenzione, perché ogni volta che stacchi il piede, devi sapere dove appoggiarlo. E’ necessario essere ponderati, strateghi, presenti, proiettati nel futuro.
Ma camminare per noi umani, non è solo spostarsi consapevolmente, è anche guardare, vedere, accorgersi, ammirare, osservare, sentire la bellezza con tutti i sensi. Per questo l’attenzione vigile ha un punto di rottura, spesso data dal fiato, dai bisogni del respiro, o semplicemente dal fatto che ha una sua durata; ed allora ci si ferma ed è il tempo dell’attenzione contemplativa.
Non c’è una fase più nobile o più piacevole, entrambe sono belle perché si completano, si danno significato. Movimento, sfida, rischio, successo, a volte caduta. Quiete, godimento, ma a volte anche insoddisfazione e spinta a ripartire, sono tutti aspetti da esplorare. Ogni fase contiene sorprese, che si manifestano ogni volta che portiamo la nostra attenzione sul presente, quando lo accendiamo con la curiosità viva di un desiderio di esplorazione.
Ogni passo sulla terra è l’inizio di un’avventura che tesse ricami sottili di pensiero, sui luoghi. Ogni passo è un dialogo, perché è vero che se noi parliamo, la terra risponde, ma è vero anche che a volte è da quel substrato materno che inizia il dialogo, quando sentiamo che c’è qualcosa che ci “parla dentro”.
Ed i suoi linguaggi sono tanti. C’è quello che racconta del volo metallico di un coleottero, che parla del moto delle stelle, o sussurra poesie spontanee che ci succedono dentro, quando ci concediamo di essere poeti